Immerso in una valle remota e fiancheggiato dalle montagne di Gifu, Shirakawa-go è il classico luogo in cui è molto facile dimenticarsi del mondo esterno. Le foreste montuose occupano quasi il 96% dell’area del villaggio e sebbene sia un posto meraviglioso non è difficile immaginare che la vita qui possa essere dura, e specialmente che lo sia stata in passato. Ma avrei scoperto presto che la sopravvivenza è stata resa possibile da una profonda filosofia di vita che gli abitanti di questo luogo indicano con yui.
Questo angolo del Giappone è conosciuto come uno dei luoghi più nevosi del Paese. Ogni anno una media di 10 metri di neve cade sul villaggio, e non è raro che l’accumulo superi i due metri. Non tutti possono sentirsi a casa in questo mix di isolamento fisico e di clima rigido che è Shirakawa-go.
Le persone di Shirakawa devono essere resilienti e intraprendenti, ma anche membri attivi della comunità e buoni compagni di squadra, con una comprensione profonda della loro terra e una passione da tramandare agli altri.
Una volta questa terra era considerata parte della provincia di Hida, ma in seguito al restauro post-Meiji (1868), l’area divenne parte del distretto Ōno di Gifu. Non molto tempo dopo, nel 1897, si formò Shirakawa-go.
Mentre le origini esatte dei gassho-zukuri sono avvolte in un piccolo mistero, gli storici stimano che queste case con tetto di paglia siano state costruite circa 250 o 300 anni fa. Separata dal resto del mondo per lunghi periodi, la gente di Shirakawa-go è riuscita a sopravvivere coltivando alberi di gelso e costruendo queste case dai tetti ormai iconici, che servivano a molteplici scopi.
Potresti chiederti a questo punto “che cosa significa gassho-zukuri?” In giapponese, il termine gassho (合掌) si potrebbe tradurre come “mani in preghiera”, mentre zukuri (- 造り) è un suffisso preso dal verbo tsukuru (- 造る) che significa costruire o fabbricare. In pratica, unendo questi due termini, il nome è un riferimento ai ripidi tetti delle case che assomigliano alle mani di un monaco buddista in preghiera.
Ogni anno migliaia di turisti vengono qui attratti da queste case, come nel mio caso; ma molti sono sorpresi nello scoprire che Shirakawa-go non è solo un museo all’aperto, né una mera reliquia del passato, ma un villaggio perfettamente funzionante, dove gli abitanti continuano a vivere proprio come i loro genitori e prima di loro i loro nonni.
Esplorando l’interno di una delle case aperte al pubblico, l’ingegnosità architettonica dell’edificio mi lascia senza fiato. Al di là dell’impatto visivo, l’angolo dei tetti è stato costruito appositamente per garantire che durante l’inverno, la forte nevicata non si accumuli e comprometta l’integrità strutturale della casa.
La parte superiore della casa, simile a un loft, era usata (e a volte lo è ancora) principalmente per scopi espositivi o per la sericoltura, l’allevamento dei bachi da seta. Poiché il clima circostante era poco favorevole all’agricoltura, gli abitanti hanno dovuto ricorrere a nuove forme di sostentamento per il villaggio.
I bachi, questi strani ospiti di casa, erano particolarmente preziosi prima della seconda guerra mondiale, negli anni 1920-1930, quando ancora il nylon non esisteva e il Paese produceva una grande quantità di calze di seta. I commercianti di bachi da seta affrontavano un arduo viaggio per fornire a Shirakawa-go i vermi che sarebbero poi stati curati e allevati dai padroni di casa, diventando piccoli simboli striscianti dell’ingegno di Shirakawa-go.
Alcune case sono diventate musei aperti al pubblico, ma molte altre sono residenze private, il che significa che sono continuate a esistere, per generazioni, apparentemente isolate dal mondo esterno. Probabilmente la casa più famosa della zona è la casa dei Wada, che è tutte e due le cose. Oltre a essere una delle residenze più grandi di Shirakawa-go e delle più visitate, è anche proprietà di Masahito Wada, che ha ereditato la casa dai suoi genitori.
Il signor Wada ha un sorriso contagioso – che sembra non si spenga mai – caldo e accogliente, ed è così esperto della storia del villaggio da rappresentare l’ambasciatore perfetto per Shirakawa-go. Classe 1960, Wada è nato qui ed è cresciuto nella casa di famiglia, ma ha trascorso gran parte della sua gioventù lavorando come insegnante lontano dal suo amato villaggio natale. Un educatore nato, ora contribuisce alla comunità anche come docente e storico locale.
“Quando ero insegnante lavoravo fuori da Shirakawa-go. Ho vissuto in molti posti diversi”, mi spiega mentre ce ne stiamo seduti vicino al irori, un focolare ricavato da una buca all’interno delle tradizionali case giapponesi. Ma dopo aver viaggiato e lavorato qua e là, il destino mi ha riportato qui: “ho deciso che volevo avvicinarmi ai miei genitori, crescere qui i miei figli e concentrarmi sul mio villaggio e la mia casa”.
L’assurgere di Wada a uno dei volti più famosi del villaggio parte da un momento cruciale nel 1995. Fu in quell’anno che il villaggio di Shirakawa-go venne riconosciuto come patrimonio mondiale UNESCO, un luogo di grande importanza per la cultura giapponese. In quel periodo la commissione responsabile del riconoscimento aveva richiesto alla famiglia Wada di aprire al pubblico la propria casa in quanto eccellente esempio della cultura del luogo. “Due anni dopo questa richiesta” prosegue Wada “nel 1997, i miei genitori aprirono le porte al pubblico”.
Trasformare la tua casa in un edificio aperto al pubblico, una casa che è stata nella tua famiglia per innumerevoli generazioni – Wada stima di essere la ventesima generazione proprietaria – e vedere degli estranei vagare dentro ogni giorno, darebbe i brividi alla maggior parte di noi. Ma per la famiglia Wada, questo atto di generosità fu quasi una scelta scontata: un gesto per il bene comune del villaggio e un’azione motivata da una filosofia di vita chiamata yui.
Yui rappresenta Shirakawa-go come wabi-sabi rappresenta la cerimonia del tè. È la ragion d’essere degli abitanti di questo luogo e, spiegata nel modo più elementare, è lo spirito di comunità, pieno di vicinanza e sostegno reciproco. Alla domanda sulle sue teorie sull’evoluzione locale dello yui, Wada, con un sorriso, spiega la questione in maniera concreta: “il duro clima di Shirakawa-go significa che senza abbracciare l’etica dello yui sarebbe difficile sopravvivere.”
Il signor Wada racconta la sua esperienza nel trasferirsi a Tokyo come studente universitario e di come abbia rivalutato il suo villaggio natale. “Vivevo in un appartamento e non conoscere le persone intorno a me era un’esperienza che non avevo mai fatto fino a quel momento. Certo, dovermi solo preoccupare di me stesso era facile. Ma se mi fosse successo qualcosa, dove sarei andato? Questo pensiero cominciò a pesarmi. Un tipo di vita così sarebbe impensabile qui”. Si potrebbe dire che se Shirakawa-go è isolata in termini geografici, socialmente lo è molto meno di Tokyo, una delle città urbane meglio connesse al mondo.
Tutto a Shirakawa-go è un gioco di squadra: dall’educazione dei bambini sulla storia della zona, alla ristrutturazione e ricostruzione dei tetti delle case gassho-zukuri e alla protezione del loro paese dalle calamità, incluso il fuoco. Proprio perché ci si continua a educare sulla prevenzione delle catastrofi il villaggio può continuare a esistere in questa forma.
Le case qui sono ancora orgogliosamente gestite dalle famiglie del luogo. Quando si tratta del futuro di queste case dal valore inestimabile, la parola d’ordine del luogo è “non vendere, non prestare, non distruggere” e, a quanto mi riferisce il signor Wada, gli estranei devono sposarsi con un membro della famiglia o acquisire un rapporto di parentela padre-figlio/figlia con un proprietario di una casa gassho-zukuri per avere l’onore un giorno di possedere tale casa.
“C’è il comitato per la conservazione ambientale di Shirakawa-go e di Ogimachi”, spiega Wada, “tutte le persone che vivono qui sono membri di quel comitato. Il comitato si riunisce ogni mese per vagliare i cambiamenti nella zona”. La conservazione di Shirakawa-go è radicata tanto nel futuro quanto nel suo passato. “Ci siamo resi conto che se lavoriamo sodo per preservare l’ambiente naturale, questo rimarrà un luogo dove le persone continueranno a venire”, ritiene Wada.
Non si può sostenere che negli ultimi tempi Shirakawa-go non sia diventata una popolare destinazione turistica. La passione locale per la cura e il mantenimento dell’autenticità della cultura locale ha fatto sì che il territorio rimanesse relativamente immune all’arricchimento veloce e al turismo di massa. Di conseguenza, coloro che vengono a visitare questo luogo possono godere di un’esperienza più profonda, proprio come è successo a me. Shirakawa-go è più di un bellissimo sfondo da selfie.
Molti visitatori arrivano al mattino e se ne vanno prima del tardo pomeriggio, ma gli abitanti incoraggiano gli ospiti a pernottare in una delle autentiche gassho-zukuri, non solo per aiutare a finanziare direttamente il villaggio, ma per avere anche una visione reale di come vivano i locali e di come funzioni Shirakawa-go.
Ho avuto la fortuna di passare la notte in un minshuku (guest house) gassho-zukuri, e sebbene eccitata dal senso di novità nel passare la notte in una casa tradizionale così meticolosamente mantenuta, sono stati i piccoli dettagli a renderla un’esperienza indimenticabile. Dall’incredibile cena in famiglia fino al bagno caldo e all’accoglienza altrettanto calda, quasi materna; passare la notte in una di queste strutture è molto più di un semplice pernottamento: è una lezione sul concetto giapponese di ospitalità, omotenashi.
Quando gli ho chiesto quali fossero gli aspetti migliori e quelli più difficili del suo lavoro, il signor Wada – che, ricordo, tutt’oggi vive nella casa di famiglia che è stata aperta al pubblico – dopo averci pensato su, risponde: “penso che preservare le case e gli aspetti tradizionali del paesaggio sia la sfida più grande. Molto lavoro va nella conservazione”.
E la parte migliore? La risposta viene facile. “Essere in grado di mostrare ai nostri ospiti la cultura locale e la vita di coloro che vivono nel villaggio.” Wada aggiunge inoltre “quando le persone vengono qui, non solo per guardare ma per conoscere il villaggio, la sua storia e cultura è mio compito far loro da guida”. È un uomo che ama dare: un vero abitante di Shirakawa-go: “immagino che yui faccia parte del mio DNA”, dice sorridendo.
Il giorno dopo incontro un uomo di nome Yuta Kuroki. Il signor Kuroki è una delle persone incaricate di mantenere le splendide case del villaggio in perfette condizioni; è un mastro impagliatore di tetti.
“Fino all’età di 30 anni lavoravo nell’edilizia”, spiega. Ha cambiato professione quando ha deciso di contribuire a ripristinare lo splendore antico della sua casa. Da cinque anni lavora per riparare i gassho-zukuri, oltre a guidare un’iniziativa dal basso per incoraggiare gli abitanti a piantare e coltivare le piante usate per impagliare i tetti.
“La maggior parte dell’erba che usiamo ora proviene da Shizuoka”, spiega Kuroki, “ma una volta era tutto coltivato sulle montagne che ci circondano”. I membri del villaggio una volta possedevano ciascuno una parte delle montagne che circondano Shirakawa-go. Su quei pezzi di terra i proprietari di casa tradizionalmente coltivavano e raccoglievano l’erba che in seguito veniva usata per riparare il tetto della loro casa: era il massimo dell’autosufficienza. Con i tempi moderni, diventando i trasporti più convenienti, è diventato più facile farsi arrivare l’erba da zone con climi meno rigidi. Oggi molte delle montagne qui intorno ospitano piantagioni di alberi di kaya.
“Attualmente circa il 90% dell’erba che utilizziamo proviene da fuori della prefettura e il 10% da qui”, stima Kuroki. Alcuni dei tetti sono oggi realizzati con l’erba coltivata localmente, ma è più impegnativo e non si può semplicemente usare un’erba qualunque: deve essere coltivata appositamente. Fatte queste premesse, usare l’erba locale, secondo Kuroki sarebbe “più conveniente, ma” chiarisce, “non è questo il punto. La ragione per questa mia iniziativa è che voglio rimanere fedele allo spirito del villaggio “. “È ancora solo un sogno”, dice, “che spero un giorno di realizzare”.
Essere un mastro impagliatore non è un lavoro facile. Ci vuole circa un mese per completare un tetto, e la maggior parte delle case richiede manutenzione ogni 20 anni circa. Per fare questo lavoro bisogna essere in buona forma fisica, non avere paura delle altezze, essere disposti a lavorare al freddo, avere una formazione solida e una buona consapevolezza delle minacce più grandi – che, secondo i costruttori locali, sono specialmente legate alla neve – a causa del peso e del rischio di marcescenza.
In tutto il Giappone, tutti i lavori edili legati ai templi, ai santuari e ad altri edifici tradizionali si trovano ad affrontare una carenza di lavoratori giovani e capaci. Sono rimasta quindi sbalordita nel notare che la maggior parte degli uomini che lavoravano alla riparazione dei tetti erano relativamente giovani, specialmente per gli standard giapponesi moderni. Secondo Kuroki “ci sono molti nel villaggio che vogliono diventare impagliatori ma, ironicamente, non ci sono abbastanza case per soddisfare la domanda di lavoro”. E come si fa a diventare un impagliatore di tetti? “Be’, tutti quelli che lavorano qui hanno il loro tetto di paglia, quindi hanno un po’ di esperienza”, spiega.
Ho chiesto a Kuroki di spiegarmi perché sia un lavoro così richiesto. La sua risposta si ricollega alle discussioni del giorno prima sullo yui con Wada: “Insegniamo ai bambini locali la storia del loro villaggio. Visitiamo le scuole e proviamo a ispirare gli studenti. Di conseguenza, molti bambini pensano che il nostro lavoro sia affascinante”.
Dopo aver parlato con Wada e Kuroki della forza trainante dello yui di Shirakawa-go, mi sento come se avessi ricevuto una nuova prospettiva su come vedere il mio rapporto con il mondo. È affascinante vedere come antiche filosofie, sorte grazie all’istinto umano di sopravvivenza in un momento di grande isolamento, abbiano ancora oggi così tanto peDopo aver parlato con Wada e Kuroki della forza trainante dello yui di Shirakawa-go, mi sento come se avessi ricevuto una nuova prospettiva su come vedere il mio rapporto con il mondo. È affascinante vedere come antiche filosofie, sorte grazie all’istinto umano di sopravvivenza in un momento di grande isolamento, abbiano ancora oggi così tanto peso.
Possiamo pensare che il nostro mondo attuale sia più “connesso” di quanto non lo sia mai stato, sia fisicamente – tramite strade e infrastrutture – sia attraverso il progresso tecnologico moderno, ma c’è ancora molto che possiamo scoprire da un luogo come Shirakawa-go su che cosa voglia dire essere veramente connessi.