Sento lo scricchiolio dei sassi sotto i piedi mentre percorriamo la Nakasendo, l’antica rotta commerciale che collegava Kyoto a Tokyo. L’aria è frizzante e la montagna verde; è un giorno di cielo blu con sprazzi di nuvole che piano piano sbiadiscono allontanandosi. Lungo il percorso noto il giallo brillante di un albero di ginkgo, il gorgoglio dell’acqua che scorre veloce negli stretti canali ai lati della strada e il canto di un uccello da qualche parte nelle vicinanze. Seguiamo il sentiero dentro una foresta primordiale, fresca e madida di umidità, sopra un tappeto di tenere foglie in decomposizione. Il muschio cresce tra le pietre esposte all’aria, rendendo la strada più soffice.
La Nakasendo è un’antica strada percorribile del periodo Edo, che durò dal 1603 al 1868. Nakasendo (中山道) significa “Strada centrale della montagna” o “Sentiero interno della montagna”. Sebbene parti della strada siano state costruite molto prima – durante il VII secolo – la strada fu istituita più formalmente all’inizio del 1600, durante il periodo degli Stati Combattenti. Durante quel periodo, lo shogun al potere Tokugawa Ieyasu voleva sviluppare un sistema autostradale ante litteram; cinque strade furono scelte e amministrate dal governo centrale. Insieme al Tokaido (lungo la costa orientale), all’Oshukaido e al Nikko-kaido (che correva a nord di Edo [l’odierna Tokyo]) e al Koshu-kaido (che correva a ovest da Edo nelle montagne), la Nakasendo era un’importante via di collegamento tra Edo e Kyoto, capitale dell’impero fino al 1869.
Da sempre desideravo percorrere un sentiero antico o una via di pellegrinaggio come la Nakasendo. Avevo l’abitudine di contare i passi usando i pedometri manuali e poi digitali, molto prima che gli iPhone lo facessero per me o che applicazioni come Fitbits rendessero la vita facile. Nell’era di aerei, treni e automobili, camminare può sembrare un’attività strana, quando non si tratta di un salto veloce al negozio o di una gita programmata in montagna, con tanto di scarponi ed equipaggiamento. “Perché camminare quando puoi prendere il treno?” ci si potrebbe chiedere. Una ragione è che percorrendo un sentiero come la Nakasendo si può avere un assaggio di come sarebbe potuta essere la vita nel Giappone del XVIII secolo e, almeno per alcune parti della strada, come avrebbe potuto essere mille anni fa.
Le strade erano percorse da samurai, signori della guerra, monaci itineranti, venditori ambulanti e persino membri della famiglia reale. Erano importanti rotte commerciali e commerciali, e la Nakasendo, lunga circa 532 chilometri (135 ri), significava almeno 15 giorni di cammino per arrivare da un capo all’altro. Pertanto lungo la Nakasendo furono stabilite 69 città-stazione, indicate con il suffisso -shuku o -juku, partendo da Nihonbashi dentro Edo e Sanjo-ohashi a Kyoto. Queste città disponevano di locande, abbeveratoi per cavalli, negozi, case da tè e luoghi di preghiera.
La Nakasendo era soprannominata anche himekaido, o “strada delle principesse”, perché era popolare tra le donne di corte e le figlie della nobiltà. La Tokaido era piatta, ma presentava molti attraversamenti di fiumi senza ponte, spiega Yoshiyuki Ando del museo di storia della Nakasendo della città di Nakatsugawa. “La gente doveva aspettare il traghetto e questo richiedeva tempo e denaro”, afferma. “La Nakasendo era un po’ più lunga e tortuosa, con diversi saliscendi, ma non aveva tratti fluviali, quindi era più sicura e il viaggio più facile da programmare.”
Sebbene la strada offrisse l’accesso al mondo esterno, le città rimanevano piccole e per lo più autosufficienti. “In quest’area, tutti dovevano lavorare insieme, coltivare riso e ortaggi, trovare modi per divertirsi per vivere”, afferma Kazuyo Tanahashi, una guida locale di Okute-juku. “Vivevano aiutandosi reciprocamente. Si prendevano tutti cura dei figli altrui. Allevavano anche bachi da seta, producevano filati, tessevano e realizzavano vestiti. ”Altri beni prodotti e commerciati dai paesi di queste aree erano il riso, il carbone (sumi) e le ceramiche. Questa regione vanta anche il più alto numero di compagnie di teatro kabuki, alcune risalenti al periodo Edo, quando le persone lungo questa strada mettevano in scena spettacoli per loro stessi e gli altri viaggiatori.
Parte della Nakasendo è rimasta invariata per centinaia di anni. Alcuni edifici, panorami e tratti di strada sono gli stessi di sempre, come a Nakatsugawa, una città nota per i suoi artigiani, che non è mai stata vittima di grandi incendi. Sebbene vi siano edifici nuovi, ne rimangono anche molti di antichi accanto a quelli moderni. La sensazione è quella di immergersi e a tratti riemergere dal tempo che fu.
Da un lato trovi una caffetteria hipster con latte perfettamente schiumato; in un altro, una ruota idraulica in legno che veniva utilizzata per macinare il grano saraceno e farne farina di soba. Alcune città sono ben sviluppate, e piene di attività commerciali. I negozianti, che sembrano appartenere ancora al periodo Edo, vendono vecchi articoli – bottiglie di sake locale, artigianato in legno di cedro e cipresso, cachi essiccati e verdure in salamoia. Tra i paesi si staglia invece la quiete: solo tu, la foresta e le pietre, l’erba e il vento.
Oggi ci troviamo a camminare nella prefettura di Gifu e le nostre guide locali condividono altre curiosità sulle città-stazione e sulla via. Mikio Takayama, di Hosokute-juku , indica dei tumuli di terra ricoperti d’erba ammucchiati sul lato del sentiero: “questi indicano le distanze”, spiega. “Ogni ri vengono creati questi tumuli per farti sapere a che punto sei arrivato.” Chiamati ichirizuka, i tumuli indicano un ri, ovvero una distanza di 3,93 chilometri. La lunghezza di un ri doveva essere la distanza approssimativa che una persona poteva percorrere in un’ora (tenendo presente che la maggior parte dei viaggiatori su questa strada erano carichi di bagagli pesanti, armature, animali da soma o altro carico). “Sono 1,5 ri tra Hosokute e Okute, e per Oijuku sono 3,5 ri“, spiega Takayama.
Oggi, ai margini della strada rimane qualche paese e qualche indicatore. La vita è molto più facile ora di quanto non lo fosse una volta; si può prendere un treno o un’auto fino al punto di partenza prescelto; vi sono anche servizi bagagli per consegnare il tuo pacco alla prossima locanda, permettendoti di portare solo uno zaino leggero sul sentiero. Rimangono però zone remote, e alcune città hanno solo poche decine o centinaia di residenti. Ci troviamo nel profondo delle montagne di Kiso, e i servizi moderni sono pochi e lontani tra loro.
Anche ciclisti possono percorrere la Nakasendo. Vi sono 17 città-stazione a Gifu e, sebbene molti luoghi di interesse turistico siano concentrati a Magome , andare in bicicletta consente al viaggiatore di vedere una più ampia varietà di luoghi pur mantenendo i benefici dell’aria fresca e del fascino dei sentieri. L’autunno, con i suoi colori brillanti, è un momento particolarmente bello per andare in bicicletta.
Un altro vantaggio di percorrere una via come questa è quello di poter usare veramente il proprio corpo. Certo, di solito mi muovo in città, e (a volte) faccio esercizio fisico, ma a dire il vero molte delle mie ore sono trascorse davanti a una scrivania a fissare uno schermo, a schiena china. Su questa via sto sviluppando un profondo apprezzamento per le cose semplici che il corpo può dare. Abbiamo preso il nostro ritmo e non c’è fretta: è bello andare esattamente alla velocità che preferiamo; e un pranzo a base di soba e tempura, quando ci fermiamo per una pausa, non si è mai sentito così meritato come dopo aver camminato un paio d’ore.
Un altro motivo per percorrere la Nakasendo è conoscere un lato diverso del Giappone, separato dal trambusto dei grandi centri urbani. “Rimangono molti paesaggi antichi, molti panorami di altipiani e valli”, afferma Ando. “Il Tokaido è in pianura, quindi lo scenario non cambia molto, ma sulla Nakasendo lo scenario cambia drasticamente ogni chilometro.” Percorrendo questa strada si ha un’idea del paesaggio del Giappone, che è montuoso per oltre il 70%, ed è la realtà di vita quotidiana per tante persone che vivono in campagna.
I panorami qui erano così avvincenti da essere ritratti nelle xilografie del famoso artista Ukiyoe Utagawa Hiroshige. Durante una sezione della Nakasendo, il sig. Takayama a un certo punto mi fa voltare e guardare il panorama, quindi mi mostra una stampa di Hiroshige. Sembra quasi lo stesso, circa 200 anni dopo, e anche se ora abbiamo più comodità, è facile immaginare le insidie della montagna in inverno o l’aspettativa che la stazione successiva riservi qualche delicatezza per stimolare il viaggiatore nella tappa successiva del viaggio.
Mentre percorriamo il sentiero, le tracce urbane svaniscono e si allontanano, e alla fine lo scenario diventa sempre più naturale. Le case residenziali diventano cascine e il paesaggio si espande, declinando in fattorie, ruscelli e colture a terrazze. Passiamo oltre una giovane ragazza che aiuta suo padre a cambiare una gomma. “Le persone sembrano davvero pratiche da queste parti”, dico, osservando che anche gli adulti a Tokyo non sanno come cambiare una gomma. “Devono sapersi arrangiare per vivere”, afferma Mieko Katsu, una guida locale di Nakatsugawa. “Non possono contare su qualcun altro per fare le cose, quindi devono farle da soli.”
La loro solitudine è qualcosa in cui posso immedesimarmi trovandomi qui da sola su una strada, a piedi con uno zaino a spalla. È l’occasione per conoscere questi luoghi fin nei dettagli – posso a ogni istante fermarmi e annusare i fiori, osservare gli insetti, sentire piccoli cambiamenti di temperatura ed essere parte del tempo. Certo, un acquazzone non è sempre benvenuto, ma c’è qualcosa di profondo nel sentirsi uniti con gli elementi atmosferici e la terra.
Camminare è una specie di meditazione, e quando si va a passo d’uomo l’ambiente circostante sembra ingrandito. Ogni istante diventa più chiaro. “Cos’è quest’albero?” Mi chiedo. “Profuma splendidamente”. “Oh… il modo in cui la luce scende, proprio qui e ora, è speciale”. “Era una volpe che sfrecciava dietro quel cespuglio?” Era un animale con una coda soffice. Katsu dice che qui vi sono anche cinghiali, orsi, cervi e scimmie. Ci immergiamo in una profonda fenditura verde tra le montagne, con cascate che scorrono veloci e foglie che frusciano nella brezza.
È in questa atmosfera che arrivo a Manpukuan, il tempio interno al complesso dell’Eisho-ji a Magome-juku, dove alloggiamo per la notte. Magome è una città in pendenza con bellissimi edifici che fiancheggiano entrambi i lati del sentiero. Istituito più di 350 anni fa, questo tempio fa parte della setta rinzai zen. I principi del tempio includono il miglioramento e il rispetto della dignità umana, e la celebrazione della vita attraverso il sostegno del Buddha.
Sasaki, il monaco a capo del tempio, ci conduce in una stanza a tatami. È scalzo, con la testa tosata, indossa una tunica. Si siede a gambe incrociate su un cuscino messo a terra, facendoci cenno di fare lo stesso. Stiamo facendo zazen, meditazione seduta: ci esercitiamo a stare fermi e a cercare di calmare la nostra mente. La capacità di stare fermi è qualcosa che arriva con l’allenamento continuo; è naturale, nelle nostre frenetiche vite quotidiane, agitarsi, fare multitasking e correre verso il prossimo appuntamento. Non ci viene facile, ma è più facile che se fossimo venuti direttamente dalla città: dopo una giornata trascorsa camminando in comunione con gli alberi, la luce del sole, il vento e gli insetti, ci sembra un traguardo possibile.
Il monaco Sasaki ci propone un koan: quando batti le mani, è la mano sinistra o destra che emette il suono dell’applauso? Accende poi un bastoncino di incenso e l’aroma delicato si diffonde su di noi, mentre ci sediamo nella stanza fredda in cerca di pace. I pensieri ci chiedono attenzione: sono stati sommersi dalla vita in città e qui, in questo luogo pacifico, sono riemersi e ci chiedono di essere ascoltati. Il mio cervello sembra parlare a volume più alto in tutto questo silenzio.
Il bastoncino di incenso si esaurisce e Sasaki ci chiede di alzarci. Fuori è silenzioso. Ci ritiriamo nel cenacolo, dove ci godiamo una generosa cena in stile shojin-ryori: la cucina vegetariana buddista servita nei templi ai pellegrini. Mangiamo bocconcini di tofu di sesamo, ravanello al vapore, verdure in salamoia e riso. È un pasto essenziale, ma sazia ed è nutriente. Raggiungiamo i nostri futon per riposare prima di un altro giorno di cammino.
Che lo si faccia a piedi o in bicicletta, incontrare e parlare con la gente del Nakasendo è un’esperienza preziosa. E se è vero che famose città-stazione come Magome hanno il loro fascino, alcuni dei migliori momenti si hanno nelle zone circostanti, più tranquille, dove traspare il vero spirito del sentiero.